mercoledì 23 novembre 2016

Guarì dopo le preghiere, per la scienza non c’era speranza

Prima i drammatici sintomi e una diagnosi che non lascia speranze, poi un’improvvisa guarigione. Il protagonista di quello che tutti a Pellestrina considerano un miracolo è un uomo di 40 anni che oggi, a dieci anni dalla scoperta di una malattia ritenuta incurabile, ha una vita normale. All’epoca dell’episodio aveva 30 anni. I medici gli diagnosticano una malattia molto grave, con un’aspettativa di vita di massimo due anni. L’uomo non viene sottoposto ad alcuna operazione chirurgica, ma all’improvviso la malattia sparisce. «Noi crediamo che il merito sia tutto di padre Raimondo», raccontano alcuni membri del Postulato per la causa di canonizzazione, «il giovane e tutta la famiglia si affidarono nella preghiera a padre Calcagno, chiesero a lui un’intercessione per la guarigione. In questa fase non possiamo svelare le generalità del giovane. Lui e la sua famiglia sono testimoni importanti nel processo di canonizzazione. La scienza non ha una spiegazione per quello che è successo. Per la medicina il destino del giovane era segnato. Oggi, dopo le preghiere, è invece in piena salute. I controlli eseguiti periodicamente da allora non hanno
mai più rilevato traccia del male, tanto che oggi i medici hanno decretato che non sono più nemmeno necessari i controlli». Il caso è stato seguito da medici locali, ma è stato anche sottoposto, per ulteriori verifiche, agli specialisti che seguono a Roma le cause di canonizzazione.

Padre Raimondo Calcagno verso la beatificazione

I membri del Tribunale ecclesiastico accerteranno se ha compiuto un miracolo Nato nel 1888, si formò dai Filippini. Fu benvoluto da tutti per la sua bontà 

 Aperto il processo canonico per verificare se padre Raimondo Calcagno, già dichiarato venerabile da papa Francesco il 7 novembre 2014, abbia compiuto un miracolo dopo la morte, guarendo un giovane di Pellestrina. Il miracolo è un elemento che si aggiunge ai molti altri requisiti per la beatificazione che i fedeli di Chioggia inseguono dal 1991.
Padre Raimondo era un filippino, educatore, biblista ed esperto in diritto canonico. Lunedì scorso il vescovo monsignor Adriano Tessarollo ha nominato il Tribunale ecclesiastico che si occuperà di verificare se l’episodio di guarigione del giovane di Pellestrina, affidatosi nella preghiera a padre Calcagno, sia da considerarsi presupposto certo per la beatificazione. Si avvia così un’ulteriore tappa di un iter che non sarà di certo breve.
Per la comunità di Chioggia padre Raimondo è sempre stato considerato un santo, prima e al di là dell’episodio di Pellestrina che si è verificato una decina di anni fa. Di santità se n’era già parlato subito dopo la sua morte, avvenuta nel 1964, perché la sua vita e la sua professione sacerdotale sono sempre state considerate “straordinarie”. Il religioso fu punto di riferimento indiscusso per bambini, giovani e famiglie. A lui si deve l’istituzione dell’oratorio dei Padri Filippini dove trovarono una casa anche molti orfani del Dopoguerra, quando il mare spesso impediva il ritorno a casa dei capifamiglia.
Padre Calcagno nacque nel 1888. Nel 1914 istituì l’oratorio ricreatorio San Filippo Neri e diresse dal 1921 al 1947 il patronato San Girolamo Emiliani. Qui raccolse e formò, civilmente e cristianamente, tanti bambini, giovani abbandonati nelle calli e orfani della città. Fu assiduo confessore, padre spirituale di sacerdoti e seminaristi, apprezzato teologo e giurista.
La causa di canonizzazione si è aperta nel 1991 a Chioggia, sotto la guida dell’allora vescovo Alfredo Magarotto, per poi spostarsi a Roma, alla Congregazione delle cause dei santi. Il presupposto per la richiesta di beatificazione faceva leva sulla profonda carità del sacerdote, sulla sua spiritualità e sulle gesta a favore dei poveri e degli ultimi.
Oggi però nel percorso verso la santità si è inserito un nuovo elemento, la guarigione del giovane di Pellestrina. Ai primi di ottobre padre Ermanno Caccia dell’Oratorio filippino di Chioggia, postulatore della causa di canonizzazione, dopo aver consultato medici specialisti e con il parere della Congregazione delle cause dei santi, ha presentato al vescovo Tessarollo la richiesta di prendere in esame e di istituire un processo canonico proprio su questo episodio.
Alla richiesta ha allegato una “Relazione particolareggiata del caso” e un elenco di testimoni, tra cui il medico curante del giovane e i familiari. Il vescovo Adriano, dopo alcune consulenze, lunedì ha nominato i membri del Tribunale ecclesiastico che sarà formato dall’arcivescovo emerito di Gorizia monsignor Dino De Antoni, dal monsignor Alfredo Mozzato e dal professor Paolo Padoan. Dopo la nomina, i membri hanno prestato giuramento, come previsto dalle norme canoniche.
Lo scopo del processo è accertare la natura e la gravità della malattia, la guarigione inspiegabile alla luce della scienza medica e se tale guarigione sia da attribuirsi all’intercessione
del venerabile padre Calcagno. Si apre quindi un altro capitolo nel percorso di canonizzazione che, se si concluderà positivamente come i fedeli chioggiotti auspicano, porterà alla beatificazione di padre Raimondo. Elisabetta Boscolo Anzoletti

domenica 20 novembre 2016

Nominato il consiglio municipale dei ragazzi

Il Lido e Pellestrina hanno il loro Consiglio dei Ragazzi. Con la nomina dei ventuno membri, equamente divisi tra alunni di prima, seconda e terza media, la prossima settimana potrà iniziare a riunirsi nella sala consiliare della Municipalità in via Sandro Gallo. Un’esperienza unica nel panorama comunale, che vuole portare i ragazzi a esaminare Lido e Pellestrina dal loro punto di vista di giovani studenti, che può essere anche migliore di come vedono le due isole gli adulti, e al fare proposte utili per loro e per migliorare la qualità della vita dei residenti.
«Credo che sia un’esperienza bellissima di cui i residenti debbano essere fieri», dice il presidente municipale Danny Carella. «La collaborazione con l’Istituto comprensivo delle due isole è stata basilare e ora si passa ai fatti concreti. Mercoledìi ospiteremo gli studenti in sala
consiliare, e questi dovranno eleggere il loro coordinatore che avrà per il Consiglio dei Ragazzi un ruolo come il mio, anche se con competenze differenti. Il primo punto di discussione sarà la gestione degli alberi sulle due isole e l’analisi di dove poterne piantare di nuovi». (s.b.)

venerdì 18 novembre 2016

«Tromba d’aria, promesse ma nessun risarcimento»

Il Comitato dei danneggiati di Pellestrina scrive a Renzi: «Abbiamo affrontato spese per due milioni, dopo sei anni ci dicano se vedremo mai un centesimo» 
 
Dopo tante promesse di aiuti mai ricevuti, e dopo aver pagato di tasca propria i restauri a seguito del passaggio della tromba d'aria che colpì l'isola nell'estate di sei anni fa, i residenti di Pellestrina hanno scritto una lettera al presidente del Consiglio Matteo Renzi. Il motivo? Un ultimo tentativo per capire se mai riceveranno i rimborsi.
Il Comitato danneggiati tromba d'aria era nato subito dopo i danni causati dal maltempo del 10 luglio 2010 che scoperchiò case, danneggiò imbarcazioni e automobili, distrusse giardini e solo per un caso non provocò delle vittime. L'ammontare totale dei danni subiti dai privati fu di circa due milioni di euro, e a Pellestrina arrivarono perfino i vertici della Protezione civile con Guido Bertolaso e la sua équipe. Ma dopo sei anni, neppure un centesimo è finito nelle tasche di chi ha dovuto affrontare molte spese. «Ci fa rabbia questa vicenda, perché abbiamo sentito tante promesse che nessuno ha mantenuto», afferma Daniele Scarpa, coordinatore del comitato cittadino che ha scritto a Renzi. «Diciamo che ci sentiamo ”trombati” due volte: prima dalla stessa tromba d'aria che ha colpito le nostre case, poi dallo Stato che di fatto non ha mantenuto le promesse attraverso i suoi uomini. Ci siamo rivolti a Renzi per colmare il vuoto di una politica distratta e latitante, insensibile ai suoi concittadini. In questi giorni a Venezia si ricorda la drammatica vicenda dell'alluvione del 4 novembre 1966, e anche a Pellestrina e San Pietro in Volta si vissero momenti davvero drammatici, ma di tempo ne è passato ormai parecchio e si è fatto molto da allora. Per i danni di questa tromba d'aria invece c'è gente che si è indebitata, convinta che le promesse venissero poi mantenute, invece a Roma si sono evidentemente dimenticati dei pellestrinotti». Sull'isola la rabbia non è mai sopita per come sono andate le cose, e tra chi si è rassegnato e chi lotta ancora. Daniele Scarpa ha chiesto a Renzi che «per poter chiudere definitivamente questa storia, in qualsiasi caso, ci dia una risposta, un segnale almeno per farci
sapere se vale la pena continuare a sperare oppure no. Siamo consapevoli dei drammi avvenuti negli ultimi tempi in Italia con i terremoti, e abbiamo massimo rispetto per le persone che soffrono nel centro Italia. Ma vorremo almeno sapere se a Roma stavolta qualcuno ci terrà in considerazione».

mercoledì 16 novembre 2016

Al via i lavori della pista ciclabile a Portosecco

In esecuzione della delibera di giunta comunale proposta dall'assessore ai Lavori pubblici, Francesca Zaccariotto, partono i lavori per la realizzazione di un tratto di percorso ciclopedonale, lungo il margine della laguna, tra le frazioni di Portosecco e Pellestrina, all’altezza dei cantieri navali Actv (ex cantieri De Poli).
Il progetto, tanto atteso dagli abitanti dell'isola, è stato elaborato da Insula, su proposta dell'Amministrazione comunale, con l’obiettivo di mettere in collegamento la pista ciclabile “Ibrahim”, realizzata nel 2010, con i tratti di pista ciclabile realizzati dal Magistrato alle Acque sul lato laguna. «Con questo nuovo intervento», ha dichiarato l'assessore Zaccariotto, «si rende possibile percorrere ben oltre metà dell’isola di Pellestrina in bicicletta, in condizioni di tranquillità, adempiendo così in pieno alle indicazioni degli strumenti programmatori e pianificatori e raggiungendo l’obiettivo di incentivare un utilizzo anche turistico a ridotto impatto ambientale del litorale lagunare, interagendo così con il percorso della ciclovia Venezia- Torino. Questo ultimo progetto è finanziato dal ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti e dalla Regione Veneto e il Comune di Venezia dovrà candidarsi per acquisire le nuove risorse potenzialmente disponibili». Il nuovo tratto, lungo 1600 metri lineari, sarà ad uso sia dei ciclisti che dei pedoni. I lavori dureranno complessivamente circa tre mesi.

martedì 15 novembre 2016

Balconi addobbati via alle domande

La Municipalità promuove il concorso pubblico "Balconi e vetrine addobbati e illuminati" per Natale. Potranno partecipare abitanti e commercianti di Lido e Pellestrina; domanda entro il 7 dicembre. Esposizione dell'allestimento dal 9 dicembre al 5 gennaio.

sabato 12 novembre 2016

«No al biglietto per il conducente» Raccolte 1300 firme

Ha raggiunto le 1.300 firme raccolte, la petizione promossa al Lido e a Pellestrina contro l'obbligo per il conducente degli automezzi di pagare il biglietto per salire sui ferry boat. I promotori intendono chiedere a Comune e Actv di tornare alle regole di qualche anno fa, ritenendo che sia sufficiente già pagare il biglietto per l'automezzo. Da tre settimane la raccolta firme ha visto impegnati numerosi cittadini e commercianti delle due isole, dopo la multa salata comminata dai controllori a una ragazza di San Donà alla quale, oltretutto, non sarebbe stato neppure detto in precedenza di dover pagare il ticket oltre a quello riservato alla vettura. Dopo la modifica introdotta da Actv, e il biglietto da 1,50 euro aggiuntivo per il conducente, il tema era sempre stato osteggiato da lidensi e pellestrinotti alle prese con i ferry boat di linea 11 e 17, finché la multa delle scorse settimane ha fatto esplodere la contestazione su questo aspetto, iniziando a raccogliere firme e aprendo una pagina dedicata su Facebook che ha raccolto rapidamente oltre 600 seguaci.
L'obiettivo dei promotori
è quello di raggiungere le duemila firme e quindi, con il supporto della Municipalità, rivolgersi a Comune e Actv sperando in una marcia indietro sul biglietto per il conducente. A questo argomento potrebbero poi aggiungersene anche altri, allargando il fronte della protesta. (s.b.)

giovedì 3 novembre 2016

Tutta Pellestrina alla Fenice: la paura diventa spettacolo

Prova generale di “Aquagranda” alla presenza dei seicento abitanti dell’isola, venerdì la prima. Il sindaco Brugnaro: «Una giornata straordinaria, così il teatro torna ad essere dei cittadini» 

L’acqua a secchiate, a onde, a spruzzi, con le bolle come nell’oblò della lavatrice o con la schiuma come in una vasca. L’acqua grande, quella «sporca, porca, lorda e ingorda» del 4 novembre 1966, sale infine in palcoscenico, entra in un immenso parallelepipedo trasparente e si abbatte come un nubifragio sull’opera che domani sera inaugurerà la stagione della Fenice e che ieri pomeriggio, nella sua prova generale, è stata presentata agli abitanti di Pellestrina.

In seicento, a bordo di una motonave, capitanati dal parroco e accolti dalla banda dell’isola schierata sui gradini del teatro, arrivano in campo San Fantin, chi per la prima volta, chi per ricordare meglio, chi per saperne di più, come in una grande memoria collettiva, tutti insieme per vedere “Aquagranda” di Filippo Pedrocco, su libretto di Roberto Bianchin e Luigi Cerantola con la regia di Damiano Michieletto e, soprattutto, con i piedi all’asciutto.
 Raggiante il sindaco Luigi Brugnaro che prima promette di restituire i cinque euro del biglietto ai quaranta musicisti (i pellestrinotti hanno pagato un biglietto simbolico) e poi dice: «È una giornata straordinaria, la Fenice ritorna il teatro dei cittadini, dell’intera città metropolitana. Pellestrina è uno dei luoghi che abbiamo avuto sin dall’inizio più a cuore intervenendo con grande convinzione in più punti dell’isola. Abbiamo approvato i lavori di manutenzione dei collettori idrici, abbiamo finanziato il tratto di percorso ciclopedonale. Dobbiamo continuare a insistere sulla messa in sicurezza del territorio, sulla gestione del Mose e le bonifiche».


«È stata una bella impresa, sono felice che siano venuti i pellestrinotti, sono loro i veri protagonisti», spiega il soprintendente Cristiano Chiarot accogliendo il gruppone guidato dal consigliere delegato alle isole Alessandro Scarpa “Marta” e dal presidente della Municipalità Danny Carella, oltre naturalmente a Ernesto Ballarin, il figlio di pescatori che voleva fare il cameriere e che insieme alla sua famiglia è protagonista dell’opera.

Passano le immagini, i video, i frammenti di quei giorni di tregenda e poi le gigantografie si fanno liquide, l’acqua “cresse”, si gonfia, diventa muro, boato, cannone, esplosione in faccia all’angoscia dell’isola.
Cinquant’anni dopo, nel tepore della F
enice, l’alluvione è anche terribilmente “cool” e difatti le pellestrinotte si agitano sulla scena indossando sottovesti di seta color sirena mentre i pellestrinotti (tutti palestrati) malediscono il mare al riparo di cerate da nostromo, stivaloni alla coscia e impermeabili di gabardin.
Un’ora e venti di spettacolo ipnotico, e forse per questo un po’ lento nonostante la brevità, con passaggi in dialetto, e il coro della Fenice che diventa la voce della laguna. «La cresse», «la cala»: non si diceva altro, quella notte, quando l’isoletta rimase appesa al filo (rosso, in scena) del suo destino, fino all’ordine di evacuazione emanato dal maresciallo dei carabinieri Giovanni Cester.
«Acqua grande, sporca, porca, fosca, lorda, ingorda, sorda». Acqua limpida, mezzo secolo più tardi, che trasforma il palcoscenico in un immenso acquario con encomiabile sprezzo del raffreddore da parte degli interpreti.
La lingerie si affloscia, rivoli scorrono in scena, il pubblico applaude. Forse non c’è tutto, forse la paura ha un altro odore, forse non fa abbastanza freddo, mancano qualche brivido lungo la schiena, le facce frustate dal vento, gli schiocchi del vento «perché sempre la laguna la governa la natura».
Domani la prima e poi repliche fino a domenica 13 novembre.






Aquagranda, i pescatori con gli occhi lucidi

«Una data storica, il modo migliore per ricordare la tragedia che ci ha colpito» 
 

Merlettaie, casalinghe, pescatori, dottori, preti, studenti, anche la banda: ieri quasi 600 residenti dell'isola di Pellestrina hanno assistito al teatro La Fenice all’anteprima di “Aquagranda”. Arrivati in motonave erano emozionati. In campo San Fantin, prima della rappresentazione dell’opera, tanti i loro ricordi del 1966: l’acqua esondava, il vento sibilava, il cielo scuro, la paura e tanto coraggio.
Marco Vianello, 50 anni, suona la tromba. «La nostra isola», spiega, «ha vissuto una tragedia. Questo è il modo miglior per ricordarla. Avevo due mesi. La mia famiglia mi ha raccontato che da Venezia arrivarono i rimorchiatori. Ci salvammo con il cambio del vento». «Sono la mamma di due bandiste, Enslenie, 11 anni, e Frehiwot, 13 anni», dice la 45enne Sabrina Doria, «e sono felice. So che mia nonna è scappata via con la gabbia degli uccellini. Il resto l'ha lasciato a casa».
Incancellabili sono i ricordi del signor Tino Bigon, 76 anni, abita al Lido, nel 1966 viveva a Pellestrina. «È una data molto importante», annota l’uomo. «Ero a casa appena arrivato da Suez, ero un navigante. Sono andato nelle scuole che erano in difficoltà, ho visto franare il murazzo e arrivare il ferry boat. In quel momento ho capito la gravità della situazione. Mi sono gettato in acqua perché il mezzo non riusciva a ormeggiare. Gli uomini lanciavano la cima sulle bricole che erano a filo d'acqua. Li ho aiutati prendendo quella cima. Mio padre era all'ospedale per un intervento chirurgico. In casa c’erano mia madre e i miei quattro fratelli più piccoli. Siamo stati i primi a salire. Ero giovane, incosciente ma rifarei tutto. È la mia indole».
Tino Fongher, classe 1940, ha gli occhi lucidi: «È una data memorabile. Pellestrina poteva non esserci più. Avevo paura ma andavo ad aiutare le persone. Ero scalzo. Mio padre, pescatore, mi disse: è la fine del
mondo». Nel 1966 don Damiano Vianello della diocesi di Chioggia non era nato. Oggi accompagnato da don Stefanio Dardelli dice: «Quest’opera ricorda la nostra storia». Poi tutti in teatro. Alla fine gli applausi, la commozione e i commenti: «Sorprendente quella massa d’acqua dentro alla Felice».

mercoledì 2 novembre 2016

La storia come cronaca: l'onda dell'Aquagranda rivive sul palcoscenico

Roberto Bianchin, autore del libro e coautore del libretto racconta l'opera che da venerdì va in scena a Venezia 

 Il destino di questo libro, nato come un omaggio alla città e alla memoria, è quello di tornare ogni dieci anni. Nel 1996 era stato un piccolo editore veneziano a cogliere il valore del racconto. A trent'anni dall'alluvione che aveva messo in ginocchio mezza Italia e profondamente ferito Venezia, Filippi aveva pubblicato "Aqua Granda", di Roberto Bianchin.
 Prefazione di Gian Antonio Cibotto, già autore di scritti sull'alluvione del Polesine, e fotografie di Gianfranco Tagliapietra. Dieci anni dopo, quando l'anniversario era il quarantennale, ci tornò su il Comune di Venezia: nuova edizione, prefazione di Massimo Cacciari, illustrazioni di Fabio Visintin. Per i cinquant'anni, dopodomani, il libro nasce nella sua terza vita: lo pubblica Marsilio (prefazione di Cristiano Chiarot, contributi di Valerio Cappelli, Paolo Petazzi e Luigi Magistro), assieme al libretto dell'opera tratta dal testo con la quale la Fenice inaugura venerdì la nuova stagione. Una produzione che parte da lontano, e che lontano è destinata ad arrivare dopo le repliche veneziane: richieste sono già arrivate dal Giappone e dalla Germania.
 «Il primo contatto con la Fenice risale a tre anni fa» racconta Bianchin, giornalista di professione e uomo di teatro per passione «quando sono stato chiamato dal sovrintendente Cristiano Chiarot, che già iniziava a pensare all'anniversario dell'alluvione». La proposta, sulle prime, lascia l'autore interdetto: «Del mio libro c'era già stata una riduzione teatrale, una pièce con Roberto Citran. Ma quando mi hanno chiesto di scrivere un libretto sono rimasto perplesso: non lo avevo mai fatto. "Provaci", mi hanno detto».
 Dalla prima stesura si è arrivati alla messa in versi: «per quella, ha lavorato Luigi Cerantola, davvero non avevo idea di come si facesse», ma in realtà - dice Bianchin - «la cifra di questo lavoro è quello di un'opera collettiva, nella quale si è poi inserito naturalmente il regista Damiano Michieletto, e collettiva è una parola che mi piace molto». Il risultato «è un libretto che mi assomiglia molto e mantiene il punto di partenza del libro, la scelta di raccontare il dramma di Venezia da un'angolazione specifica, Pellestrina, perché è da Pellestrina che il mare è passato, è lì che l'onda ha sfondato». Nel 1966 Roberto Bianchin aveva 17 anni: «Allora le scuole il 4 novembre erano chiuse, quindi ero a casa mia, al Lido, e al mattino dal letto sentivo il rumore del mare, un rumore mai sentito prima, un ruggito pieno di rabbia».
 La curiosità è troppa: il ragazzo vuole andare a vedere quel che succede, deve rinunciare alla bicicletta perché le strade sono allagate e raggiunge a piedi i Murazzi: «Ho visto l'onda arrivare e ho cominciato a fuggire, era alta almeno quattro volte me. Sono scappato verso quella che allora era campagna, l'onda mi ha preso e sono finito nell'acqua fino alla cintura, ma senza farmi portare via». A Pellestrina sfonda; mare forza 8, vento a 120 nodi, onde alte da otto a venti metri. Da lì a San Marco c'erano 18 chilometri: «Il mare perse forza e questo salvò la città, pur sommergendola come mai era accaduto prima». Pellestrina allora è il punto di osservazione speciale, attraverso gli occhi di Ernesto Ballarin, il figlio di pescatori che voleva fare il cameriere: «Mentre nel libro c'è una voce narrante, la mia di autore, in teatro questa non c'è: i sette personaggi dialogano, il coro è la voce della laguna. E mentre il libro è in italiano, l'opera ha passaggi in dialetto nella calata tipica di Pellestrina». I personaggi sono tutti reali:Ballarin, la madre e il padre, gli amici, il farmacista, il maresciallo dei carabinieri Giovanni Cester, che del disastro tenne un diario annotando tutti i dati che hanno consentito al giornalista Bianchin di farsi cronista del passato per raccontare, da scrittore, la sua storia. L'opera è nata in teatro, nelle prove e nei confronti «grazie anche a Damiano Michieletto, una persona meravigliosa. Lui che è un numero uno si pone nei confronti degli altri con dolcezza, ha una grande sensibilità e una disponibilità infinita». C'è naturalmente l'orgoglio di andare in scena, da autore, alla
Fenice che è un tempio mondiale e che è anche il teatro della sua città: «È stato fatto un investimento importante, che rinsalda il rapporto fra la città e il suo teatro».
Certo, mai Bianchin avrebbe pensato a un simile cammino per il suo libro: «L'ho scritto per una ragione molto semplice, perché su quell'acqua granda una storia non era mai stata raccontata. O meglio c'era Obici, che aveva scritto "Venezia fino a quando", ma io volevo raccontare quel giorno e quei giorni da un punto di vista diverso».
Fu un disastro naturale di enorme portata: «Non poteva essere previsto ma nemmeno escluso, risalendo indietro nei secoli si sa che ne erano già accaduti e anche se tra l'una e l'altra risultano intervalli lunghissimi, oggi noi non possiamo dire di avere messo Venezia in sicurezza. Cinquant'anni dopo la città è ancora indifesa, se arrivasse oggi un'onda come quella del 1966 non credo che il Mose, con tutti i soldi che è costato, cambierebbe le cose, tra cassoni che non si alzano, ruggine e conchiglie». Paura per il debutto? «La generale di mercoledì è decisiva. È riservata al pubblico di Pellestrina, se "Aquagranda" passa questa prova è fatta».

martedì 1 novembre 2016

Dall’anteprima dell’opera alle voci dei testimoni

Domani alla Fenice lo spettacolo di Michieletto riservato agli abitanti di Pellestrina Giovedì alle 18 alla Querini Stampalia otto voci testimoni della tragedia collettiva 
 
È dedicata a Pellestrina e ai suoi abitanti la antegenerale di “Aqua granda” - lo spettacolo dell’apertura della stagione della Fenice in occasione dei cinquant’anni dalla grande alluvione del ’66, il 4 novembre - in programma al Teatro La Fenice domani alle 15.30. La prova è infatti riservata ai residenti dell’isola che, in quella eccezionale alluvione del 4 novembre 1966 cui la Fenice dedica il ricordo con l’inaugurazione della sua stagione lirica 2016-2017, fu per prima esposta alle conseguenze della rottura dei murazzi e all’irrompere del mare in laguna; inoltre ad accogliere gli spettatori all’ingresso del teatro ci sarà la Banda Musicale di Pellestrina che, al termine della recita, terrà un concerto nelle Sale Apollinee del Teatro La Fenice. La première di «Aquagranda», opera commissionata dalla Fenice al compositore Filippo Perocco in occasione del cinquantennale dell’acqua alta, con la regia di Damiano Michieletto e la direzione musicale di Marco Angius, avrà luogo due giorni dopo, venerdì 4 novembre 2016.
Testimoni giovedì alla Fenice. Giovedì 3 novembre un nuovo appuntamento con i testimoni dell’acqua alta del 1966 nelle Sale Apollinee del Teatro La Fenice: dopo i racconti di Ernesto Ballarin, Arrigo Cipriani, Giovanna Nepi Scirè, Lady Frances Clarke, degli ex sindaci Paolo Costa e Mario Rigo, di Leopoldo Pietragnoli, Duilio Stigher e Gianfranco Tagliapietra, giovedì alle 17, si svolgerà la presentazione del volume “Aquagranda” edito da Marsilio, che raccoglie il libretto dell’opera omonima, di Roberto Bianchin e Luigi Cerantola, e il libro dello stesso Bianchin da cui l’opera è tratta.
Parteciperanno il sovrintendente del Teatro La Fenice Cristiano Chiarot e l’editore Cesare De Michelis, presidente della Marsilio. Interverranno inoltre alcuni testimoni oculari dell’alluvione, come Natale Vianello “Nini” che all’evento ha dedicato una composizione in versi e in dialetto, Gianfranco Scarpa “Barche”, Elio Scarpa ‘Bolla’, Ferruccio Gard, che nel 1966 lavorava come cronista per la Rai di Venezia, e gli esponenti dell’Associazione Murazzo di Pellestrina. Incontro coordinato da Roberto Bianchin.
Voci dall’Acqua Granda alla Querini. La Fondazione Querini Stampalia rievoca l’accaduto con “Voci dall’Aqua granda. Una narrazione tra teatro e storia orale”, per la regia di Marco Paladini, con Marco Tizianel e musiche di Sergio Marchesini, in programma giovedì 3 novembre, alle 18.Otto voci protagoniste, per otto testimonianze che in vari modi si ricollegano al racconto collettivo di quella tragedia e alle sue conseguenze, anche a lungo termine. Ciascuna voce legata ad un luogo, ad una situazione, ad un oggetto; tutte accomunate dal medesimo senso di “sospensione”, di incredulità, di attesa dell’irreparabile, davanti alla marea che pare non volersi più ritirare.
Aqualand per immagini. Al Circolo I Antichi (Dorsoduro 250) venerdì alle 17 si inaugurerà la mostra fotografica «Aqualand» con le immagini del fotografo Andrea Merola. Una mostra per documentare come nella percezione collettiva l'acqua alta si sia trasformata da disastro a distrazione, con un'accelerazione vertiginosa negli ultimi anni. Da fenomeno meteorologico a fenomeno del turismo di massa.
Quel 4 novembre al Florian. Giovedì alle 11 al Caffè Florian verrà inaugurata la mostra Il 4 novembre 1966 a Venezia, esposizione di foto in bianco e nero di Gianfranco Tagliapietra, decano dei fotografi di cronaca veneziani. Le immagini, che testimoniano i drammatici momenti di quella fatidica giornata di quarant’anni fa che ha segnato in modo irreversibile la storia della città, verranno esposte contemporaneamente a Venezia e al Caffè Florian di Firenze di via del Parione. Nella Sala Liberty del Florian di Venezia saranno, inoltre, in mostra alcune immagini dell’alluvione di Firenze, in una sorta di gemellaggio solidale tra le due città che subirono danni incalcolabili in quel terribile 4 novembre del 1966.
L’acqua e la Piazza. Il Fai di Venezia con l’Associazione Piazza San Marco e l’associazione We Are Here Venice presentano al Negozio Olivetti il progetto “L’acqua e la Piazza” dedicato a Francesco Valcanover. Un racconto a più voci sul rapporto tra gli abitanti, l’acqua e il cuore di Venezia, Piazza San Marco. Venerdì alle 11 verrà inaugurata la mostra fotografica “Ritorno in Piazza” di Anna Zemella che si propone come un percorso emozionale di riappropriazione della piazza cittadina, dall’acqua e le pietre alle antiche figure.
La mostra diffusa “Acqua in Piazza” curata da We are here Venice ed Eleonora Sovrani raccoglie invece un insieme di testimonianze e materiali che raccontano il faticoso rapporto quotidiano con il giungere delle maree nei locali degli aderenti all’Associazione Piazza San Marco. (e.t.)

«I sassi in volo come fogli di carta e dopo non c’erano più i murazzi»

La drammatica testimonianza di Marina Sara Mazzuccato che all’epoca aveva un bambino di un anno «I pescatori venivano a prenderci nelle case, ci hanno portato sul ferry e salvato: li ringrazierò sempre» 
 
«Cosa sono quei fogli bianchi?». La mattina del 4 novembre 1966 Marina Sara Mazzuccato, moglie del pellestrinotto Attilio Vianello, si affaccia alla finestra del primo piano della sua casetta di San Pietro in Volta e vede delle forme strane volare nell’aria. «Ho guardato bene e mi sono accorta che erano i sassi dei Murazzi, pesanti quintali, che schizzavano ovunque come fogli di carta» racconta cinquant’anni dopo «Le onde erano altissime con la cresta bianca, non c’erano più i Murazzi, ma cascate del Niagara che si riversavano sull’isola».
Negli ultimi giorni la signora ha ritrovato negli scatolini le foto di suo padre Mario che andò a prendere la figlia e il nipote Marco il giorno dopo l’«aqua granda» per portarle a Padova, la sua città natale. Dalla terraferma si era trasferita a Pellestrina per sposare nel 1964 Attilio. Dalla loro unione sarebbe nato Marco che il giorno dell’alluvione aveva solo un anno. Marina comunque le immagini di quelle foto non le ha mai dimenticate, a volte tornano all’improvviso negli incubi.
Il 4 novembre 1966 Attilio, proprietario della bottega di alimentari, si sveglia per andare a vedere in che stato è il negozio. «C’era uno scirocco fortissimo» ricorda «e la sera prima continuava a piovere, ma tanto. Non c’erano messaggi di allerta e nemmeno previsioni, quindi pensavamo si trattasse di una brutta acqua alta». Marina sente dei suoni da parata provenire da fuori. «Era il giorno dei caduti» riprende Marina «e ho visto sfilare tanti signori con le bandiere. Sembrava una scena surreale, l’acqua si stava alzando sempre di più, ma loro proseguivano con la cerimonia».
Attilio pensa che la moglie sia al sicuro in casa, ma le onde si fanno sempre più alte fino a quando l’acqua raggiunge quasi il bordo della finestra. Lei è sola con il figlio Marco. Fuori l’apocalisse, con il mare impetuoso che s’ingoia la laguna. «I pescatori hanno fatto tantissimo» ribadisce più volte «senza di loro non so come mi sarei salvata. È passata una barca che diceva con un altoparlante che bisognava evacuare. I pescatori venivano a prenderci nelle case e ci portavano sul ferry boat».
Il problema è che il vento di scirocco soffia ancora e non è facile per le barche attraccare. «Non pioveva più, ma ogni volta che la barca si avvicinava alla finestra il vento la spingeva via. Alla fine sono riuscita a salire lasciando dietro di me ogni cosa, ma quando siamo arrivati al ferry ho dovuto per montare lasciare mio figlio sulla barca che poi non riusciva più ad avvicinarsi al ferry da quanto vento c’era, ero disperata. Poi dopo molti tentativi l’ho riabbracciato e siamo stati portati al Lido, dove c’è l’imbarcadero per andare a Chioggia».
Lì la situazione è migliore, ma l’acqua arriva comunque alla cintura degli uomini. «Quando siamo scesi dal Ferry gli uomini ci hanno presi in braccio. Non c’era elettricità, né gas, i frigoriferi non funzionavano e nemmeno le linee telefoniche».
Il giorno dopo il padre parte in treno da Padova per andare a prendere figlia e nipote al Lido, mentre Attilio rimane a dare una mano nell’isola. Mario Mazzuccato porta con sé una macchina fotografica. Gli servirà per documentare il disastro inimmaginabile che gli si para davanti agli occhi. Venezia è letteralmente sventrata. Pellestrina mostra le viscere vive. La barriera di sassi è crollata come un castello di carta.
«Mio figlio Marco» ricorda «ha imparato quella volta a bere da un bicchiere perché non c’era niente, non potevamo nemmeno lavarci. Mi sono sempre chiesta che cos’abbia provato. Mi sembrava molto piccolo, ma quando siamo tornati a casa a Pellestrina ha detto pù acca, cioè più acqua». Il peggio viene scongiurato quando finalmente arriva il garbin, il libeccio, che spazza via lo scirocco, evitando che le isole vengano devastate. «I pescatori urlavano che era arrivato il garbin» ricorda «dicevano è cambiato il vento! è cambiato il vento!».
Il mare si ritrae e la collettività inizia a rialzarsi. Dopo 20 giorni Marina e Marco tornano
a casa e ritrovano Attilio, mancato otto anni fa. «Sono sempre rimasta qui a Pellestrina» afferma «da qui vedo dei tramonti meravigliosi e la laguna mi riempie di tranquillità. Ogni tanto sogno ancora quel giorno, ma non ho mai pensato di andarmene da Pellestrina».