giovedì 3 novembre 2016

Tutta Pellestrina alla Fenice: la paura diventa spettacolo

Prova generale di “Aquagranda” alla presenza dei seicento abitanti dell’isola, venerdì la prima. Il sindaco Brugnaro: «Una giornata straordinaria, così il teatro torna ad essere dei cittadini» 

L’acqua a secchiate, a onde, a spruzzi, con le bolle come nell’oblò della lavatrice o con la schiuma come in una vasca. L’acqua grande, quella «sporca, porca, lorda e ingorda» del 4 novembre 1966, sale infine in palcoscenico, entra in un immenso parallelepipedo trasparente e si abbatte come un nubifragio sull’opera che domani sera inaugurerà la stagione della Fenice e che ieri pomeriggio, nella sua prova generale, è stata presentata agli abitanti di Pellestrina.

In seicento, a bordo di una motonave, capitanati dal parroco e accolti dalla banda dell’isola schierata sui gradini del teatro, arrivano in campo San Fantin, chi per la prima volta, chi per ricordare meglio, chi per saperne di più, come in una grande memoria collettiva, tutti insieme per vedere “Aquagranda” di Filippo Pedrocco, su libretto di Roberto Bianchin e Luigi Cerantola con la regia di Damiano Michieletto e, soprattutto, con i piedi all’asciutto.
 Raggiante il sindaco Luigi Brugnaro che prima promette di restituire i cinque euro del biglietto ai quaranta musicisti (i pellestrinotti hanno pagato un biglietto simbolico) e poi dice: «È una giornata straordinaria, la Fenice ritorna il teatro dei cittadini, dell’intera città metropolitana. Pellestrina è uno dei luoghi che abbiamo avuto sin dall’inizio più a cuore intervenendo con grande convinzione in più punti dell’isola. Abbiamo approvato i lavori di manutenzione dei collettori idrici, abbiamo finanziato il tratto di percorso ciclopedonale. Dobbiamo continuare a insistere sulla messa in sicurezza del territorio, sulla gestione del Mose e le bonifiche».


«È stata una bella impresa, sono felice che siano venuti i pellestrinotti, sono loro i veri protagonisti», spiega il soprintendente Cristiano Chiarot accogliendo il gruppone guidato dal consigliere delegato alle isole Alessandro Scarpa “Marta” e dal presidente della Municipalità Danny Carella, oltre naturalmente a Ernesto Ballarin, il figlio di pescatori che voleva fare il cameriere e che insieme alla sua famiglia è protagonista dell’opera.

Passano le immagini, i video, i frammenti di quei giorni di tregenda e poi le gigantografie si fanno liquide, l’acqua “cresse”, si gonfia, diventa muro, boato, cannone, esplosione in faccia all’angoscia dell’isola.
Cinquant’anni dopo, nel tepore della F
enice, l’alluvione è anche terribilmente “cool” e difatti le pellestrinotte si agitano sulla scena indossando sottovesti di seta color sirena mentre i pellestrinotti (tutti palestrati) malediscono il mare al riparo di cerate da nostromo, stivaloni alla coscia e impermeabili di gabardin.
Un’ora e venti di spettacolo ipnotico, e forse per questo un po’ lento nonostante la brevità, con passaggi in dialetto, e il coro della Fenice che diventa la voce della laguna. «La cresse», «la cala»: non si diceva altro, quella notte, quando l’isoletta rimase appesa al filo (rosso, in scena) del suo destino, fino all’ordine di evacuazione emanato dal maresciallo dei carabinieri Giovanni Cester.
«Acqua grande, sporca, porca, fosca, lorda, ingorda, sorda». Acqua limpida, mezzo secolo più tardi, che trasforma il palcoscenico in un immenso acquario con encomiabile sprezzo del raffreddore da parte degli interpreti.
La lingerie si affloscia, rivoli scorrono in scena, il pubblico applaude. Forse non c’è tutto, forse la paura ha un altro odore, forse non fa abbastanza freddo, mancano qualche brivido lungo la schiena, le facce frustate dal vento, gli schiocchi del vento «perché sempre la laguna la governa la natura».
Domani la prima e poi repliche fino a domenica 13 novembre.






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