
Il cantiere era stato fondato dal nonno Davide alla fine dell’Ottocento: una famiglia di maestri d’ascia. Aveva proseguito a lavorare costruendo imbarcazioni di legno fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, ma un tracollo finanziario aveva messo in crisi l’azienda.
Davino era riuscito, assieme ai fratelli, a risollevarne le sorti puntando al ferro. Nel 1975, era arrivata la prima grande commessa, un ferry boat per l’azienda di navigazione comunale, poi i vaporetti e i motoscafi sempre per la società pubblica. E ancora, rimorchiatori per la Marina Militare. Nel 1985 il cantiere aveva un centinaio di dipendenti e erano cominciati i vari di chimichiere e gasiere. Così, avevano scelto di subappaltare molti lavori a ditte esterne, giungendo in alcuni momenti a dare lavoro a 500 persone, molte delle quali provenienti dai paese della ex Jugoslavia. Ma gli spazi erano limitati e spesso le prue delle navi in costruzione stavano a pochi centimetri dai tetti delle abitazioni vicine.
Oltre alla società di Pellestrina, nel frattempo, soprattutto grazie alla figlia, che infatti non abita più a Venezia, ma si è trasferita in Olanda, la famiglia De Poli aveva investito nelle compagnie di navigazioni, quelle per il trasporto di gas e di sostanze chimiche. Adesso sono ben tre le società con sede a Rotterdam che fanno capo a Chiara De Poli. Nel frattempo, il cantiere della famiglia stava rischiando il fallimento, nel 2010 ha messo tutti in cassa integrazione e, alla fine, grazie al concordato preventivo Davino è riuscito a salvare il buon nome della famiglia.
Il passivo era di 136 milioni di euro e con la vendita del cantiere (molti operai sono stati assunti dall’Actv) e con quella delle tre navi che stava costruendo è riuscito
a pagare una piccola parte dei suoi debiti. In tanti, però, sono rimasti a bocca asciutta e più di qualche artigiano è stato costretto a mandare via i dipendenti e addirittura a chiudere bottega a causa di quel credito mai incassato. (g.c.)
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