Lo annuncia Italia Nostra, contraria ai progetti di riutilizzo di Porto e
Iuav «Quell’enorme gettata di cemento è priva di autorizzazioni, va
subito demolita»
Un esposto alla Corte dei Conti perché
gli 11 ettari di cemento armato dell’enorme piattaforma “temporanea”
realizzata a Santa Maria del Mare, a Pellestrina, siano effettivamente
smantellati - come previsto - dopo la realizzazione del Mose e non
vengano spesi altri soldi pubblici per riconvertirli in mini porto
off-shore, né tantomeno ospitino per tre anni gli studenti di Iuav e Mit
di Boston per un progetto sul riuso dei luoghi, come invece prevede un
recente accordo tra il commissario del Consorzio Venezia Nuova Ossola e
lo Iuav.
A firmare l’ennesima denuncia “attorno” al Mose è Italia
Nostra, nelle settimane in cui il presidente del Porto, Pino Musolino,
ha annunciato la progettazione di un nuovo scalo per grandi navi
porta-container nell’area della conca di navigazione in bocca di porto
di Malamocco, e lo Iuav ha siglato con il Consorzio il progetto
“Reinventing places, Venice Mose. Studio in un sito temporaneo tra mare e
Laguna”, per trasformare la piattaforma in un villaggio dove gli
studenti possano progettare in loco il recupero del “dopo cantiere”.
«Progetti
che ci sorprendono», commenta Lidia Fersuoch, presidente di Italia
Nostra Venezia, «ricordando che lo stesso presidente del Provveditorato
alle opere pubbliche, Linetti, ha preso posizione per dire come “in
quell’area già problematica per la navigazione, vista la presenza delle
paratoie del Mose e della conca, aggiungere altre navi potrebbe
aumentare i problemi”».
«Questa enorme piattaforma di cemento è
stata costruita in un ambiente oggetto di vincoli paesaggistici e
ambientali, priva di tutte le autorizzazioni», prosegue Fersuoch, «La
Commissione europea aprì una procedura d’infrazione contro lo Stato,
risoltasi nel 2009 con un’archiviazione “per ragioni di opportunità”
perché lo Stato si era impegnato a fare delle opere di compensazione
ambientale. Nella lettera di messa in mora si ribadiva che si trattava
di un’opera temporanea, e che sarebbe stata rimossa conclusisi i lavori.
Dieci anni dopo il Mose è ancora in fieri e se andrà bene sarà
consegnato nel 2022. Il cantiere però è già in dismissione e i luoghi
devono essere ripristinati da ora».
«Quello era l’impegno
solennemente preso con i cittadini dal presidente della Regione, dal
presidente del Magistrato alle acque, dal concessionario unico dello
Stato: poco importa che tutti tre siano stati poi arrestati,
rappresentavano lo Stato», conclude Italia Nostra, «le garanzie che i
luoghi sarebbero stati ripristinati costituiva
un formale impegno con Venezia, il sindaco, gli abitanti di
Pellestrina, defraudati della bellezza della loro isola. Erano opere non
autorizzate in aree vincolate, imposte al territorio con la forza in
virtù della loro temporaneità». (r.d.r.)
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