La disperazione dei 4 mila residenti imprigionati di fronte all’acqua
che inesorabilmente si alzava La prima a cedere, alle 10 del mattino, fu
la diga di Portosecco i cui massi furono divelti dalle onde
Urla, pianti e la fuga generale da quasi ogni casa dell'isola per
trovare rifugio altrove sotto il sibilo del vento da sud e le onde del
mare che sferzavano la incolpevole diga protettiva dei centri abitati.
L'incubo per i pellestrinotti è stato reale quel 4 novembre di cinquanta
anni fa. In quel sottile lembo di terra che è stato divorato dal mare e
dalla laguna, invaso dall'acqua senza la possibilità per i cittadini di
proteggersi in alcun modo, mentre la gente fuggiva come da un conflitto
dove gli eserciti che li accerchiavano era composti da vento e onde,
elementi implacabili della natura. I racconti di chi c'era allora, dopo
cinque decenni, sono ancora pieni di emozione e di quella paura che al
solo pensiero vela ancora i loro stanchi occhi. Una esperienza
indimenticabile per chi c'era, e che alle nuove generazioni è stata
tramandata come un monito per tutelare la storia di quel piccolo
intermezzo tra mare e laguna. Ore d'angoscia. Quelle che i circa
quattromila residenti hanno vissuto sin dalla sera del 3 novembre,
mentre il mare si ingrossava alle spalle degli abitati di Pellestrina,
San Pietro in Volta e Portosecco. Lo scirocco che non dava tregua e la
laguna che inesorabilmente si alzava senza il normale giro dell'acqua
erano un tutt'uno. Durante la notte la situazione peggiorò e alle 5 del
mattino successivo il fronte lagunare di Pellestrina era già invaso
dall'acqua, mentre alle 10 la prima a cedere fu la diga a Portosecco,
con i primi grandi massi letteralmente divelti dalla forza del mare.
Imprigionati da una parte e dall'altra, gli abitanti non poterono fare
altro che chiedere aiuto, mentre alle 11 dietro Pellestrina la diga
cedette per un fronte di quasi duecento metri, con l'acqua salmastra
lesta a creare autentici canali tra le case. Le famiglie trovarono
scampo a bordo delle motonavi che le portarono altrove, lasciandosi alle
spalle il timore della distruzione totale per le case, e la perdita dei
loro averi, delle imbarcazioni da pesca e tutto ciò che rappresentava
il minimo sostentamento. Nel tardo pomeriggio l'acqua raggiunse il
soffitto delle case ai piani più bassi, e chi con coraggio rimase a fare
la "guardia" ai piani alti delle abitazioni, visse attimi di terrore
invocando l'aiuto della Madonna, cui da secoli i residenti sono votati.
La quiete che seguì il 5 novembre, servì solo a fare la conta dei danni,
tra distruzione e dolore, con la consapevolezza che almeno non vi
furono vittime tra i residenti, ma rimasero grandi ferite interiori
nelle persone. Lavori. Il presidente della Municipalità di Lido e
Pellestrina ha voluto prendere spunto da quei fatti e dalle imminenti
commemorazioni per fare una riflessione sullo stato attuale delle difese
dell'isola, e per chiedere interventi a tutela degli abitanti. Danny
Carella non era ancora nato quel 4 novembre 1966 ma anche la sua
famiglia, come molte altre, ricorda ancora quel disastro e ha tramandato
quei momenti da incubo. «Nessuno ha scordato ciò che avvenne in quelle
ore, e proprio per questo mi auguro che nelle stanze che contano, a Roma
come qui in Veneto, si arrivi a capire la necessità di interventi per
l'isola», afferma. «Ci troviamo con la necessità di un ripascimento
effettivo in determinati tratti del nuovo arenile costruito dal
Magistrato alle Acque oltre dieci anni fa, e serve un rinforzo e una
sistemazione del Murazzo che in alcuni punti preoccupa parecchio, con
crepe e buchi tra le pietre. Lo diciamo da tempo ma a tante parole non
hanno fatto seguito i fatti. Negli ultimi anni più volte il mare si è
fatto sentire, e bisogna che qualcosa si concretizzi per dare nuove
garanzie». Ma il fronte del mare Adriatico non è il solo problema, e
così Carella parla anche di quello lagunare. «La situazione del muro e
dell'argine che si affaccia sulla laguna, in numerosi punti ormai lascia
a desiderare, con l'acqua che esce a fiotti tra i mattoni se la marea è
più sostenuta», prosegue il presidente della Municipalità. «E poi c'è
la questione legata alle pompe idrovore. Molte sono vecchie e già in
alcune occasioni non hanno fatto il loro lavoro. Non sono cose che ci
inventiamo, ma reali necessità. Il Comune fa la manutenzione, ma forse
non basta visti i guasti che si sono succeduti nel tempo». Appello. I
cinquant'anni dalla grande alluvione verranno celebrati in tutta la
gronda lagunare, ma Danny Carella lancia anche un messaggio specifico.
«Questa vuole essere una sorta di commemorazione, ma noi vogliamo che
sia un momento anche di riflessione e un passo avanti per garantire che
nulla più di tutto quel che è successo, possa ripetersi»
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