sabato 28 agosto 2010

Impalcature ovunque. L'isola vuole risorgere dai guasti del ciclone

22 agosto 2010

di Silvia Zanardi  A Pellestrina è tornato il silenzio. Il silenzio
della laguna piatta, quello triste e sofferto delle gru dei
Cantieri De Poli e quello delle barche dei pescatori immobili, ancorate
alle rive. Ma ai residenti, seduti lungo le calli a «prendere il
fresco», basta nominare la parola «tromba d’aria» per sentire di
nuovo i mattoni crollare, le barche volare a razzo contro i tetti delle
case, le finestre sbattere fino a sbriciolarsi e gli elicotteri
della protezione civile farsi strada fra il vento e la paura degli
abitanti.  E’ passato un mese dalla tempesta del 23 luglio
scorso, una data incisa nei pellestrinotti come l’evento «che non ci
voleva». A Pellestrina, in più, non ci voleva proprio adesso,
perché la crisi della pesca e la chiusura dei cantieri De Poli
hanno messo l’isola in ginocchio, non si sa da quale porta entrerà il
rilancio e non tutti possono pagare le ditte per ripararsi la casa
prima dell’arrivo dei fondi. «Fino a poco tempo fa qui c’erano soldi -
dice Rosolino Zennaro lungo la spiaggia - La gente girava con
belle macchine e trovare case vuote era difficile. I Cantieri avevano
portato tanti operai da fuori, si respirava quel fermento
occupazionale che dava fiducia». Ora, appesi agli scuri di alcune
case ci sono cartelli con scritto «vendesi», spesso ingialliti dal sole.
Molte botteghe di alimentari hanno chiuso perché, da quando c’è
la Coop, tutti vanno là e riempiono i portabagagli. Ma conforta vedere
fiocchi rosa e azzurri attaccati alle porte e le signore che
corrono a casa dalla spiaggia perché altrimenti l’arrosto si
brucia.  Lungo la strada principale - dove passa un autobus ogni
mezz’ora per andare al Lido - e accanto ai cassonetti per
l’immondizia ci sono ancora mattoni, pezzi di tettoie sgangherate, e non
pochi residui di eternit che presto l’amministrazione comunale
provvederà a smaltire. «Vedo ancora un po’ di immondizia in giro -
dice Leonardo Parrinello - ma dicono che verrà portata via.
L’amministrazione comunale è stata comunque molto tempestiva
nell’arginare i danni e fra residenti ci stiamo aiutando molto: aiutarsi
a vicenda è tipico di quest’isola». Accanto al ciarpame
post-tromba d’aria, ogni tanto spuntano vecchi materassi, poltrone, e
oggetti vari. Pare che qualcuno approfitti della mole di rifiuti
ingombranti per liberarsi di cose che non servono più, fra cui
anche il pericoloso eternit. A Portosecco, una delle zone maggiormente
colpite dalla tromba d’aria, è un continuo via vai di cariole,
furgoni, operai al lavoro sulle impalcature. Ma ora si attendono i fondi
del governo: da Roma dovrebbero arrivare 5 milioni. «Speriamo che
arrivino - dice una signora seduta fuori dalla sua casa - Guido
Bertolaso e il sindaco Orsoni ce li hanno promessi». Fra gli
abitanti si respira soddisfazione per il lavoro svolto dai vigili del
fuoco e dalla protezione civile già a poche ore dal disastro. La
Polisportiva Portosecco piange però i suoi 15 kayak tranciati dal
vento, i pedalò che sono volati dall’altra parte della strada, il
pupparino che ha buttato giù il camino della vicina di casa e una
caorlina a cui bisognerà dire addio. I resti di tanta grazia per lo
sport in laguna sono ancora lì, pronti per essere portati via.
«Abbiamo dovuto sospendere la stagione del kayak, un vero peccato -
dice sconsolato il presidente della Polisportiva, Augusto Vianello -
fortunatamente le barche nuove erano al riparo ma quasi tutto il
resto è andato perduto». «L’unica cosa confortante di questa tromba
d’aria - dice infine il vogatore Pierpaolo Vianello - è vedere che
la gente non sta con le mani in mano e dove può mette a posto».



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