lunedì 12 ottobre 2009

Aggrappati alla De Poli

Dopo il crack dei cantieri di Pellestrina, i fornitori sono a rischio
«Con il concordato le piccole aziende non avranno un euro»

C’è chi, per far fronte ai debiti, ha dovuto sacrificare in vendita una casa di proprietà a Pellestrina,
oppure chi è stato costretto a mettere in liquidazione la stessa
azienda, in quanto i circa 300 mila euro, mai percepiti per le
forniture garantite ai cantieri navali De Poli di
Pellestrina,
rappresentavano circa un terzo del fatturato annuale. Una cifra che è
linfa vitale per pagare i dipendenti e proseguire l’attività
produttiva. Senza questi introiti, si rischia la chiusura. Dietro la
vicenda della storica azienda di
Pellestrina
ci sono tante storie di piccole aziende che senza gli introiti che
erano stati concordati, sono ora in grave difficoltà finanziaria.
Alcune sull’orlo del tracollo, altre a rischio di fallimento. Il crack
dei famosi cantieri di
Pellestrina,
dunque, ha messo nei guai decine di piccole aziende, presenti tra i
circa 800 creditori, che ora sono in ansia sugli sviluppi della
vertenza. Se la seconda ipotesi di concordato preventivo è stata
accolta, anche se ancora informalmente, dalle banche, non altrettanto
dicono artigiani e piccole aziende. Quest’ultimi anche qualora il
concordato preventivo (e la conseguente omologa) andasse a buon fine,
rischiano di non vedere riconosciuto nemmeno un euro del proprio
lavoro. Nell’elenco delle aziende a rischio ci sono la “Carpen-Fer” di
Bruno Cassoli con un credito di 100 mila euro, la “Crt impianti” di
Ravenna di Andrea Tomei, esposta per 300 mila euro. «Anche fossero
piazzate sul mercato le tre navi – dicono alcune ditte creditrici – si
incasserebbero circa 50 milioni di euro, che andrebbero tutti alle
banche, essendoci, sulle navi, un’ipoteca di 52 milioni. Se anche noi
vedessimo riconosciuti i nostri diritti, ci vorrebbe la vendita del
cantiere, quotato 14 milioni di euro, per il quale però al momento non
ci sono acquirenti interessati. Per i dipendenti e fornitori a questo
punto è meglio il fallimento: se si vendono le navi ai fornitori non
sarà dato un soldo e verranno finite altrove». Le piccole aziende,
dunque, dicono no al concordato e votano per il fallimento. Ma si
deciderà altrove: a determinare saranno gli istituti di credito,
anzitutto Monte dei Paschi di Siena, con la controllata Antonveneta, e
Unicredit, esposti con oltre 100 milioni.

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