sabato 13 dicembre 2008

Cassa integrazione alla De Poli, la crisi fa tremare Pellestrina


Venerdi' 12 Dicembre 2008

Le navi da costruire
sono lì: un mezzo scafo in banchina, un altro un po' più avanti nei
lavori già in acqua, ma ce n'è un terzo anche a Trieste, tutte commesse
norvegesi che la De Poli si era accaparrata ancora un paio d'anni fa.
Quello che è venuto a mancare, nel frattempo, sono i soldi per pagare i
lavoratori che dovrebbero finire queste chimichiere. Così si sono
accumulati i ritardi e la situazione è precipitata nel giro di qualche
giorno. Le prime ad andarsene, all'inizio del mese, sono state le ditte
degli appalti, duecento lavoratori e più che costituiscono la struttura
portante di un cantiere di questo tipo. «Non li pagavano più, per
questo sono rimasti a casa. E ora non ci sono più soldi nemmeno per
noi»: sintetizza, con disarmante efficacia, un operaio. Una verità di
cui, qui in cantiere, fanno ancora fatica a capacitarsi. Lo vedi dai
volti di questa gente, per la maggior parte pellestrinotta, ma anche di
Chioggia e dintorni, che alla De Poli lavora da tanti anni: dieci,
venti, trenta, anche quaranta. Vite intere per un cantiere che è
davvero un pezzo di isola e che era una cosa sola con la famiglia De
Poli, la proprietà. Un sentimento d'appartenenza che in queste ore si
va sgretolando: c'è ancora chi difende le ragioni di quella che era
stata sentita come un'azienda-famiglia, ma c'è anche tanta incredulità,
tanta rabbia, persino un senso di tradimento per quella famiglia che
non si vede più.

Non
è un caso che la giornata di ieri inizi proprio con una sorta di
"spedizione" dai De Poli. Sono le 7, l'ora in cui prendono servizio gli
operai, quando si diffonde la notizia che non ci saranno incontri con i
sindacati, come sembrava, ma solo la richiesta ufficiale dell'azienda
di mettere i lavoratori in cassa integrazione. A quel punto, un
gruppetto di operai vuole incontrare qualcuno della famiglia, a tutti i
costi, e si dirige verso le villette dove vivono i fratelli, a poche
centinia di metri dal cantiere. Il grande capo, Davino, non c'è. La
figlia Chiara ormai è più all'estero - dove segue l'Arcoin, la società
armatoriale della famiglia - che a Pellestrina
. In isola c'è Giancarlo, il fratello più giovane di Davino. «Lui è uno
che fino all'altro giorno lavorava con noi, in banchina, per finire
l'ultima nave - racconta un operaio -. Poi, all'improvviso, non si è
più visto, perché? Deve dirci qualcosa!». Il gruppetto decide di
portargli uno dei pacchi di Natale, quelli con il panettone e lo
spumante, «lo portiamo a lui, tanto per noi che Natale sarà?». E lui,
Giancarlo, viene al cancello per pochi minuti. «Ci ha risposto che non
può parlare, altrimenti...» riferisce un operaio con un sorriso che è
più una smorfia.

Poi
inizia l'attesa delle notizie sulla cassa integrazione. A metà mattina
arrivano le buste paga di novembre. Virtuali, però. «I soldi veri,
quelli arriveranno tra qualche giorno, ma almeno ci sono - si consolano
quelli delle Rsu -. Per dicembre e per la tredicesima, invece, dovremo
aspettare quello che diranno le banche, a gennaio. Intanto ci sarà
questa cassa integrazione». Sotto una pioggia fitta, con un cantiere
ormai fermo - «clinicamente morto» come si bisbiglia, da giorni, negli
uffici - il tormentone è proprio questo: che accadrà a gennaio?
arriverano questi soldi dalle banche? e soprattutto basteranno a far
ripartire il cantiere? Interrogativi che si rincorrono tra i
lavoratori, più o meno abbattuti, più o meno cupi. «Ci hanno detto che
l'incontro con le banche è andato bene, che i soldi arriveranno» si
ripete una tuta blu. Ma un compagno lo zittisce amaro: «Ci avevano
anche detto che non saremmo mai arrivati a questo punto. E invece...».
Punti di vista diversi, nella comune disperazione di far quadrare i
conti e il futuro. «Io con 35 anni di anzianità, prendo 1.300 euro. Che
futuro posso avere fuori dalla De Poli?». «Io con 11 anni d'anzianità,
ne prendo 1.050: ho un bambino piccolo, un mutuo e tre finanziamenti.
Chi me li paga?». «Sotto l'albero, per i nostri figli, metteremo la
letterina della cassa integrazione. Per noi questo non sarà un Natale,
ma il dramma arriverà a gennaio con le nuove bollette da pagare».

Sfoghi
di chi vorrebbe anche capire, interpretare la storia di un'azienda che
sente sua. C'è chi ricostruisce il recente passato. «Dopo gli incidenti
avvenuti in cantiere le commissioni esterne, venute a controllare, ci
avevano fatto intendere che c'era qualche problema - racconta un
operaio -. Un paio di settimane fa, poi, quando le ditte esterne se ne
andavano perché non venivano pagate, è arrivata Chiara De Poli. E alla
nostra domanda su come si stavano mettendo le cose, ci ha risposto che
si stavano arrampicando sugli specchi. Questo la dice lunga. Ma noi
continuavamo ad avere fiducia...». Altri se la prendono con i vertici,
con i continui cambiamenti di management. «La famiglia non si vede più.
E ci sono questi nuovi dirigenti che non sanno organizzare un cantiere.
Uno di questi coordinatori, quando gli abbiamo dato appuntamento sotto
la poppa, è andato ad aspettarci sotto la prua. Come si fa a guidare un
cantiere navale se non si distingue la poppa dalla prua?». «Questo era
meglio non dirlo - gli fa eco un compagno, preoccupato -. Che armatore
verrà più da noi...». Ma c'è anche chi si guarda intorno. Un gruppetto
di lavoratori di Chioggia, proprio ieri, ha scritto al sindaco. L'idea
è quella di creare una cooperativa multiservizi. Nei cantieri navali
non credono più.

Roberta Brunetti

(ha collaborato Annalisa Busetto)


Nessun commento:

Posta un commento