L’esperto: «Le diossine sono in calo, i pontili di sbarco non li hanno mai fatti. E le aziende chiudono»
Vongole sane? Per la legge attuale basta che i controlli
batteriologici vengano fatti prima dell’immissione sul mercato. Ma non
c’è ancora una rete efficace ed estesa di controlli sugli accumuli degli
inquinanti, in particolare metalli pesanti e diossine. Risultato,
incertezze e ritardi hanno portato alla crisi del settore, che ha
ridotto drasticamente la produzione di vongole, e in particolare di Tapes philipinarum rispetto
agli anni Ottanta. Una miniera d’oro che si va esaurendo, portando alla
disperazione centinaia di famiglie e minacciando alle fondamenta una
delle attività tipiche dell’estuario, in particolare Pellestrina e Punta
Sabbioni. «Per questo motivo occorre portare a termine la campagna di
monitoraggio avviata qualche anno fa in accordo con il Magistrato alle
Acque», dice Lino Natale Pavan, ricercatore e consulente della Provincia
nel settore ambientale, «un’attività che deve essere fatta in modo
sistematico, con analisi tossicogenomiche per verificare lo stato di
salute dei molluschi sottoposti a situazioni di inquinamento
ambientale». Una legge regionale del 2004 (la 3366) mai del tutto
applicata che imponeva la ricerca delle diossine oltre che
dell’esaclorobenzene e le esaclorobutadine.
Altra direttiva
europea mai applicata quella che prevedeva la realizzazione di punti di
sbarco. Norma europea applicata nel 2010 dal governo italiano che aveva
emesso il regolamento per i controlli sui punti di sbarco del pescato e
sul trasporto dei molluschi al primo stabilimento di destinazione. Una
struttura che secondo i tecnici avrebbe facilitato il trasporto del
prodotto ai mercati, evitando burocrazia e soprattutto incertezze sulla
qualità. Quanto all’inquinamento, Pavan esibisce studi degli ultimi anni
che rilevano come sia diminuita la concentrazione di inquinanti, in
particolare di diossine. «Diossine che erano state immesse in laguna
quasi tutte con il Petrolchimico di Marghera, oggi in disarmo», spiega
Pavan, «la cui presenza oggi andrebbe misurata con campagne frequenti e
controlli».
Ma mentre si discute l’industria dell pesca perde i
pezzi. Fallita anche la grande scommessa di lanciare l’allevamento in
aree protette e certificate. Anche qui una burocrazia infinita,
denunciata dagli allevatori, con l’obbligo imposto dalla Provincia di
acquistare il seme dal Graal. «Sarebbe come se un allevatore non potesse
disporre delle sementi e dovesse pagare un soggetto terzo per farlo»,
dicono. E la crisi del settore non si ferma.(a.v.)
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