Dopo 42 anni è andato in pensione De Michele, medico di San Pietro in
Volta «Venivo dalla Sicilia e mi hanno accolto come un figlio, ma che
fatica il dialetto»
Per l’ultima volta ieri ha visitato i suoi
pazienti nell’ambulatorio di San Pietro in Volta, ha firmato le ricette
necessarie e salutato tutti con un abbraccio caloroso. Il dottor
Vittorio De Michele è andato in pensione dopo 42 anni di servizio quale
medico di famiglia, dopo aver visto cambiare l’isola di Pellestrina. Per
lui, che era partito nel 1975 da Palermo, questa rimane una storia
lavorativa e una meravigliosa avventura.
Dottor De Michele, ma come è finito a Venezia?
«“A
Palermo mi sono laureato in Medicina, entrando poi in Marina Militare
da ufficiale medico. Ho iniziato a lavorare a Venezia subito dopo al
presidio di Sant’Anna e all’Arsenale».
A Pellestrina come ci è arrivato?
«Conobbi l’allora medico condotto di San Pietro in Volta, e ne diventai in breve tempo il sostituto».
Com’era l’isola quarant’anni fa?
«C’era meno ricchezza e gli anziani si tenevano i soldi da parte, mentre oggi i giovani investono in molti settori».
Com’erano le case quando andava a visitare i malati?
«Molte
erano davvero messe male. Entravi e trovavi cucine piccolissime e la
lavatrice sopra i mobiletti per evitare che l’acqua alta potesse
danneggiarla. Magari c’era chi neppure aveva il gabinetto e si serviva
dei bagni pubblici esterni. Mi colpì molto la mancanza di campanelli
alle porte. Il riscaldamento era solo nelle cucine e molte persone
stavano con il pigiama sotto i vestiti per non sentire freddo
d’inverno».
Che rapporto c’era con la gente?
«È
stato da subito bellissimo. Ho trovato persone di una immensa
generosità. Non ho mai chiesto soldi per il mio lavoro, ma la gente
ricambiava in ogni modo. Negli anni sono stato sommerso dal pesce fresco
e ai miei figli di sicuro non è mancato il fosforo. Talvolta mi
portavano pietanze già cucinate o dolci. Quest’anno sarà il primo Natale
dopo 42 anni in cui mi comprerò il panettone».
La sua famiglia come prese questo trasferimento?
«Ricordo
che un giorno mia madre venne a Pellestrina, la portai sul montone del
murazzo. Mare da una parte, laguna dal quell’altra e tantissima nebbia.
Mi guardò e disse: figlio mio, ma dove sei finito? In molti mi dissero
che ero matto ad accettare questa destinazione. In troppi pensano che
Pellestrina sia un luogo fuori dal mondo, ma in realtà è unico al mondo
per mille motivi».
La crisi della pesca e dei cantieri ha cambiato gli abitanti dell’isola?
«La
crisi l’ho vissuta accanto alle persone, perché vedevo in molti la
disperazione. L’anima forte di Pellestrina sono state le donne che si
sono rimboccate le maniche nei momenti di grande difficoltà. Ho visto
famiglie distrutte dalle restrizioni sulla pesca e dalla chiusura dei
cantieri».
Si è mai pentito di aver scelto Pellestrina?
«No.
Per un siciliano, certo, era un po’ scomoda. Avevo chance lavorative al
sud perché mio fratello è neurochirurgo, ma qui c’era la possibilità
iniziare subito. Mi sono trovato bene, a parte i grandissimi problemi
con il dialetto».
E come li ha superati?
«Ci è voluto un bel po’di tempo. Penso alla prima volta che ho sentito la parola piron (forchetta). Oppure spissa (prurito)».
A livello umano cosa ha trovato e cosa lascia?
«Una
comunità incredibile: se ci fosse un matto qui vivrebbe bene, perché
sarebbe accettato da tutti. È un luogo in cui ho trovato e c’è una
solidarietà immensa tra le persone».
E dal punto di vista professionale?
«Decenni fa si faceva meno prevenzione e più cura. Ora c’è più attenzione».
Cosa farà da oggi?
«Pensa
che avrò difficoltà a staccare la spina mentalmente. Rimarrò a Venezia
ma farò pure il turista. Magari passerò un po’di tempo alle isole Eolie
terra di mia madre».
E adesso il testimone passa a una donna.
«Giusto,
la mia sostituta in via provvisoria: la dottoressa Patrizia Dacchille,
veneziana, garantirà il servizio ai miei pazienti per i prossimi mesi. A
lei il compito di proseguire questo lavoro prezioso in mezzo a tante
persone speciali».
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