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lunedì 19 agosto 2013
Quando Pellestrina rischiò di scomparire. Il teatro “povero” ricorda l’Acqua Granda del ’66
Di “identità veneta” in questi anni si è parlato fin troppo e spesso a
sproposito, fino a trasformarla in una caricatura da usare
malamente a fini politici. Pochi hanno invece saputo, come Paolini
rievocando la tragedia del Vajont, ridare giustizia al martirio di
popolazioni da sempre “use ad obbedir tacendo” e insieme praticare
dignità, compostezza e solidarietà anche nei momenti più drammatici. Ed è
in questo solco che si pone, meritando attenzione e riedizioni
destinate al pubblico più largo del paese e, in primis, dell’intero
Veneto se la Regione saprà farsene carico, l’evento teatrale e
musicale, che come per un gioco serissimo è stato allestito da un
gruppo di “foresti” in omaggio all’isola di Pellestrina, rievocando come
nel novembre del ’66 la furia del mare rischiò di far scomparire
la sottilissima striscia di terra che separa la laguna dall’Adriatico
e insieme alla terra un’ intera popolazione abituata da secoli a
vivere del poco che davano gli orti e la pesca. “Acqua e tera, tera
e acqua...”: in poco più di un’ora di rappresentazione e a costo
pressoché zero le centinaia di pellestrinoti, e in prima fila tanti
giovanissimi, radunati sotto le capriate della Società Remiera di
Pellestrina, hanno visto svolgersi tra proiezioni di foto d’epoca,
brani musicali eseguiti dal gruppo Calicanto, testimonianze e testi
di Sergio Ventura ( appassionato ideatore del tutto) e di Francesco
Jori “recitati” dalle voci straordinarie di Giancarlo Previati e
Maria Grazia Mandruzzato un momento di una storia già durissima, che con
il crollo dei murazzi voluti dalla Serenissima e non più
doverosamente curati durante il fascismo, mise a repentaglio le vite e i
pochi beni di chi vi abitava da secoli. Con pochi mezzi, spago,
abiti vecchi trasformati in scenografie dall’artista del riciclaggio
Luisa Bertocco, proiettori e amplificatori generosamente messi a
disposizione impastati a sapienza professionale, consapevolezza
civile e un ampio volontariato, a Pellestrina si è dimostrato che fare
cultura non è sinonimo né di spreco né di inconcludente
intrattenimento. Vedremo tutto questo anche a Chioggia, a Venezia, o a
Padova, magari nella preparazione del cinquantenario di quella
tragedia e lo vedremo con un Ente Regione capace di attenersi
all’impegno di rivedere le proprie scelte culturali all’insegna
dell'efficacia e della oculatezza della spesa? Si rimane in fiduciosa ma
insieme vigile attesa. Elio Armano
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